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neurinoma acustico - Page 5

  • Reportage conferenza Lederman a Parigi: FSR

    Nonostante la sua straordinaria somiglianza con Franco Grillini e l'uso disinvolto di una sgargiante camicia policroma concorrano a desacralizzarne il ruolo e l'immagine, quando Gil Lederman prende la parola nella sala pubblica di rue Beoffroy del ricco comune di Neully-Sur-Seine, Parigi, tra i circa trenta astanti si crea il silenzio.

    Istrionico, televisivo, luminoso il professore americano inizia la sua presentazione con un breve excursus storico sulle vicende della radioterapia applicata alla cura del neurinoma del nervo acustico.

    La premessa ideale posta a fondamento dell'attività del RadioSurgery NY – dice – è quella comune a ogni équipe medica: salvare la vita dei propri pazienti. La peculiarità dei pazienti affetti da neurinoma è tuttavia il fatto che, salvo rari casi, nessuno di loro rischia realmente la vita. L'attenzione di Lederman è dunque rivolta alla salvaguardia della qualità della vita dei degenti, compromessa non solo dall'insorgere e dall'evolversi della malattia ma anche, assai sovente, da una tradizione medica focalizzata sul ricorso ad una terapia altamente invasiva, qual é quella chirurgica.

    Il professore insiste molto su questo punto: benché i progressi tecnologici siano evidenti e bene accetti in ogni campo della medicina, esiste, a suo dire, una forte resistenza alla modernità da parte dei medici deputati al trattamento del neurinoma: resistenza che non trova giustificazione nella storia clinica della stragrande maggioranza dei pazienti. L'intervento chirurgico, infatti, associa a un tasso di fallibilità coerente con la prassi medica (operazione non perfettamente riuscita, da ripetere in un momento successivo) un elevato rischio di complicazioni cliniche (infezioni post-operatorie, meningite, nei casi più gravi la morte per emorragia cerebrale), ma soprattutto impatta grandemente, nella quasi totalità dei casi, sulla qualità della vita del paziente: alla completa perdita dell'udito, quasi scontata, si aggiungono le note paresi maxillo-facciali temporanee o permanenti, la secchezza della pupilla, perdite di coordinazione nell'attività motoria. Il professor Lederman si profonde nella narrazione di alcuni casi, non senza toccare – volutamente o meno – le corde dell'emozione del pubblico: dalla storia della splendida ragazza bionda caduta in depressione a seguito della perdita dell'espressività facciale, a quella del paziente non più capace d'inghiottire.

    La colpa di cio' non è da attribuirsi all'imperizia dei chirurghi, i quali sono molto spesso persone capaci assistite da équipes esperte e da anni di pratica: la colpa va piuttosto rintracciata nella rarità della patologia (2 000 casi all'anno su 300 milioni di abitanti, per fare l'esempio degli USA), che, per forza di cose, comprime l'esperienza di ciascun chirurgo a solo una manciata di casi. Troppo poco, secondo Lederman, perché un medico possa essere sicuro e a proprio agio, riducendo con cio' la propria fallibilità e imprecisione. E il 38% di complicanze gravi che statistiamente si verificano a seguito dell'intervento chirurgico paiono confortare questa tesi.

    Diversamente dall'intervento chirurgico l'intervento eseguito con la gamma-knife ha già cercato di limitare questi rischi: la gamma-knife ha iniziato la sua storia vent'anni fa, ereditando un'esperienza all'epoca già ventennale nel campo della radichirurgia per la cura dei tumori. È un intervento solo marginalmente invasivo (lo solo le viti utilizzate per fissare il casco utilizzato per la terapia alla testa dei pazienti): cio' di fatto elimina già gran parte delle potenziali complicanze implicite in un intervento di chirurgia cerebrale, quali le infezioni e lo scoppio di un'emorragia, eliminando inoltre la necessità del ricorso all'anestesia totale, particolare non trascurabile; riduce il rischio che il nervo acustico vada perso per sempre; impatta in misura minore sul resto dei nervi della zona (orginando paresi facciali più rare e/o più brevi).

    I limiti della terapia fondata sulla gamma-knife sono essenzialmente due: resta piuttosto dolorosa (il casco utilizzato per praticarla risulta insopportabile alla maggioranza dei pazienti) e, soprattutto, comporta i rischi conosciuti da oltre cento anni di studio della radioattività; una scarica di radiazioni ad alto dosaggio in una zona delicata come il cervello ha evidentemente delle potenziali implicazioni negative. Non mancano inoltre i casi di storie post-operatorie simili a quelle originate dalla terapia chirurgica: paresi, perdite d'equilibrio, cronicizzazione di cefalee prolungate e dolorose et similia. Cio' non toglie che molti neurochirurghi siano oggi inclini a servirsi della gamma-knife come complemento della propria terapia: si apre, si toglie una parte del tumore e quel che resta lo si irradia. Cio' – sostiene polemicamente Lederman – non nasconde l'ipocrisia di quanti, tra i chirurghi della scuola "classica", sostennero che i radiochirurghi fossero dei ciarlatani, nel momento in cui la gamma-knife faceva la sua comparsa.

    La principale innovazione introdotta dalla RadioSurgery NY è il frazionamento dell'emissione delle radiazioni e il loro basso dosaggio: invece che "sparare" una dose molto concentrata di radiazioni in un'unica soluzione, i medici adepti della FSR eseguono cicli di irradiazioni successive, a basso dosaggio: lo scopo è quello di ridurre il rischio di danneggiare il cervello dei pazienti, rendere la terapia sostanzialmente indolore (la tecnica utilizzata dal dott. Lederman, tra l'altro, non comporta l'utilizzo del casco che si usa per la gamma knife) e la degenza praticamente istantanea. Lederman sostiene che gran parte dei suoi pazienti possano serenamente visitare New York appena qualche minuto dopo aver ultimato ciascuna sessione terapeutica.

    Altra peculiarità della terapia introdotta dall'équipe di RSNY è il fatto di non essere sostanzialmente mutata dalla sua comparsa quindi anni fa: la tecnica è la stessa, il dosaggio il medesimo. Cio' garantisce a RadioSurgery NY un'esperienza unica nel campo, dato l'elevato numero di pazienti curati e la registrazione delle loro storie cliniche in un lasso di tempo piuttosto esteso. Proprio su questo punto il dott. Lederman ama soffermarsi: altri ospedali e altri medici – dice – "abbandonano" i propri pazienti dopo la prima risonanza successiva all'intervento. RSNY segue invece per molti anni i propri pazienti, con l'obiettivo di fornire loro un adeguato supporto e di raccogliere dati che permettano il perfezionamento della terapia.

    Quanto ai risultati, il professore sottolinea con orgoglio il 97% di successi della propria terapia (indipendentemente da tipo, dimensione, forma e luogo in cui si trova il tumore), attribuendo il 3% di fallimenti a cause prevalentemente biologiche: a quanto pare esistono tumori, assai rari, che non reagiscono al trattamento radioterapico, rendendo in tal caso necessario il ricorso alla chirurgia invasiva.

    E' poi il momento delle domande, poste da un pubblico attento e plausibilmente molto preparato:

    pubblico: è vero che talvolta i tumori, dopo il vostro trattamento, crescono?
    Lederman: capita, nel 50 % circa dei casi, che il tumore cresca nei mesi successivi all'irradiamento: attenzione, pero'. Si tratta di una crescita dovuta alla cicatrizzazione indotta dalla terapia. In sostanza il tumore è stato fermato, ma i tessuti si espandono per poi contrarsi di nuovo. Nella maggior parte dei casi, un anno dopo i tumori trattati con FSR sono di dimensioni più contenute, o al massimo uguali, a com'erano prima. E non crescono più.

    pubblico: molti otorini sostengono che, essendo il nervo acustico comunque danneggiato, cinque anni dopo la scoperta del neurinoma l'udito si perde in ogni caso, che si tratti con la radioterapia o meno.
    Lederman: non so come possano sostenerlo: avete qua davanti a voi quattro miei pazienti. Nessuno di loro ha perso l'udito, dieci anni dopo il trattamento. Per alcuni di loro, più fortunati, le cose sono addirittura migliorate. Ad ogni modo, l'80% dei miei pazienti conserva l'udito che aveva al momento dell'intervento. E la stragrande maggioranza di essi scopre di avere un neurinoma anche 15 anni dopo che questo è nato. Da quando iniziamo a contare i cinque anni, allora?

    pubblico: è vero che a seguito dell'intervento con la radioterapia, diventa più difficile eseguire un intervento chirurgico, qualora ce ne fosse la necessità?
    Lederman: questo lo dicono i chirurghi, forse per giustificare i propri errori... Non ci sono ragioni evidenti per le quali sarebbe più difficile asportare un tumore trattato con la radioterapia di uno non trattato.

    pubblico: esiste un limite (di diametro del neurino) oltre al quale non è più consigliabile eseguire la radioterapia?
    Lederman: anzitutto, il diametro non è il miglior parametro per valutare un tumore: contano di più il suo volume e la percezione sintomatica del paziente. Mi spiego: a volte un tumore "pare" crescere dalle rilevazioni cliniche, ma il paziente "sta meglio", o comunque non peggio. In tal caso magari il tumore ha cessato di crescere e in un certo modo il paziente si è fisiologicamente adeguato ad esso. In altri casi un tumore ha sempre lo stesso diametro ma il paziente sta sempre peggio e percepisce come sempre meno sopportabile il suo stato. In questi casi la misura del diametro non è poi cosi importante: conta più il reale "ingombro" del neurino, in relazione al luogo in cui si trova e alla peculiare conformazione di ciascuno di noi. Per rispondere alla sua domanda: noi irradiamo tutti i neurinomi. Non esistono volumi oltre i quali non si possa intervenire con la radioterapia. Esistono neurinomi che devono essere rimossi perché esercitano una compressio tale da rendere impossibile o addirittura a rischio la vita di chi li ha. Esistono poi persone, che rispetto, che non possono accettare di conservare nella propria testa il neurinoma, benché fermo. In casi simili il ricorso alla chirurgia invasiva è la scelta migliore.

    Nella parte finale della conferenza il "clima" tra sostenitori della gamma knife e seguaci di Lederman si è un po' scaldato, e sono emerse tensioni latenti nel forum francofono. In chiusura, come sempre avviene, il dott. Lederman ha  lasciato parlare alcuni suoi pazienti che hanno raccontato le proprie success stories e ha poi incontrato in privato i pazienti che lo desideravano.

    Un saluto affettuoso e un "in bocca al lupo" dal vostro inviato nella terra delle baguettes

     

    Diapositive presentate dal Dr.Lederman Paris janvier 2008 

     

    http://anworld.com/fr/radiation/lederman-Paris-Jan-2008/

  • HIFU: una nuova speranza contro il cancro

    Milano, 20 nov. (Adnkronos Salute) - Un raggio a ultrasuoni che brucia il cancro. Eliminandolo senza bisturi, né radiazioni o aghi potenzialmente dannosi per i tessuti sani. La nuova promessa di una terapia antitumorale sempre meno invasiva, con la massima efficacia e la minima tossicità, arriva da una tecnologia 'made in China' battezzata Hifu (ultrasuoni focalizzati ad alta intensità). Utilizzata in Estremo Oriente da oltre 10 anni, con più di 20 mila pazienti trattati in una quarantina di centri e circa 25 macchinari distribuiti in vari Paesi asiatici, la metodica è sbarcata ora anche in Occidente. Centro 'pilota' l'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano: l'unica struttura clinica in Ue impegnata in uno studio di fattibilità ad hoc, con l'obiettivo di definire precisi standard d'impiego, nonché eventuali modifiche volte a trasformare una strumentazione oggi pluripotente in una su misura per diversi tumori. Con un focus sul cancro del seno, primo big killer in rosa.

    La tecnologia è stata presentata questa mattina all'Ieo dal direttore scientifico Umberto Veronesi, dall'assistente della Divisione di Senologia, Paolo Arnone, e dal direttore dell'Unità di Radiologia interventistica, Franco Orsi. Presenti anche l'amministratore delegato dell'istituto, Carlo Ciani, e lo scienziato inventore dell'Hifu, Zhibiao Wang. Grazie al macchinario del valore di circa 1,5 milioni di euro, donato da Hiteco Group alla Fondazione Veronesi e concesso da quest'ultima all'Ieo in comodato d'uso, l'Irccs oncologico di via Ripamonti ha trattato da inizio novembre già 4 pazienti. Nella fase di fattibilità, che durerà circa due mesi per un totale di 10-20 malati (non più di 4 a settimana), la nuova tecnica viene abbinata alla chirurgia. Ma "la vera speranza, per ora un'ipotesi - precisa cauto Veronesi - è arrivare a una terapia anticancro senza più bisturi né radiazioni". L'impiego degli ultrasuoni in oncologia non è nuovo, ricorda Orsi. "Gli ultrasuoni focalizzati - spiega - sono già da tempo utilizzati contro tumori 'di superficie' in ginecologia, otorinolaringoiatria e, ultimamente, per il cancro alla prostata attraverso una sonda transrettale".

    La novità della macchina attiva all'Ieo è però "la possibilità di trattare organi interni come mammella, fegato, pancreas e reni". Ma anche "utero, muscoli e ossa - aggiunge Veronesi - E più in generale tutti gli organi che oggi possiamo visualizzare con l'ecografia". Per la prima volta, riprende infatti Orsi, "Hifu ci permette di convogliare un fascio di ultrasuoni in un punto ben preciso (punto focale) e definito via ecografia, trattando una lesione tumorale senza l'inserimento di alcuno strumento e quindi senza danni biologici". In altre parole, "è come usare un 'bisturi invisibile' maneggiandolo dall'esterno". Il macchinario, ospitato all'Irccs milanese in una sala dedicata, assomiglia a una Tac. Il paziente si sdraia su un lettino che al centro presenta una piccola vasca riempita di acqua purificata. La parte da trattare è immersa nel liquido, che 'veicola' gli ultrasuoni prodotti da uno speciale trasduttore sottostante, indirizzandoli fino al punto focale.

    Il raggio attraversa i tessuti sani senza modificarli in alcun modo, e solo quando raggiunge il suo bersaglio si trasforma naturalmente in calore. "Nel punto focale grande quanto un chicco di riso, e mano a mano nelle zone malate circostanti - continua Orsi - si raggiungono anche i 100 gradi". Una temperatura letale per le cellule, che "determina così la necrosi dei tessuti tumorali". In gergo tecnico, "è il principio della termoablazione" rivisitato in chiave ultramoderna. I pazienti trattati finora all'Ieo, con risultati incoraggianti, "sono 4 - ribadisce Orsi - tutti già precedentemente operati: un uomo di 75 anni con lesioni dolorose alla parete toraco-addominale associate a un cancro al colon, una donna di 65 con tumore alla mammella e lesioni ossee sternali, un uomo di 62 con un carcinoma epatico" e "una giovane 20enne con alle spalle già 4 interventi per fibroadenomi al seno - prosegue Arnone - Formazioni in genere benigne, ma che nel suo caso mostravano uno sviluppo rapidissimo e dimensioni eclatanti: ne aveva 25, di cui 9 palpabili.

    Dimessa il giorno dopo l'intervento, dichiarava di avere avuto la sensazione che per un secondo la punta di un ago le si riscaldasse nel seno". Di durata variabile fra una o 5 ore a seconda del tipo di tumore, la metodica Hifu è applicabile a lesioni sia maligne sia benigne. "Ma è proprio per stabilire con precisione le sue indicazioni e il modo migliore di introdurla nella routine clinica sui pazienti occidentali, molto diversi da quelli orientali i quali arrivano alle terapie quando la malattia è già in fase molto avanzata - sottolinea Orsi - che abbiamo previsto questa fase di fattibilità". La tecnologia, certificata con marchio CE dal 2005 grazie ai test condotti in un centro di ricerca (non clinico) di Oxford, "consente di seguire in tempo reale l'efficacia del trattamento e risponde pienamente alla filosofia Ieo", commenta Veronesi. La missione dell'Irccs meneghino è infatti "esplorare ogni nuovo mezzo a disposizione - conclude l'oncologo - andando nella direzione del 'minimo efficace' (massimo risultato, minimo danno) con la priorità di garantire a ogni paziente una qualità di vita ottimale".

    Per maggiori informazioni visita Adnkronos







    NOTA BENE: per avere maggiori informazioni sulla terapia di cui sopra(che si ricorda è in fase sperimentale) si può contattare l'Istituto Oncologico Europeo.


    http://www.ieo.it/italiano/index.asp
    Centralino
    tel 02-57489.1
    fax 02-57489.208

  • neurinoma e campi elettromagnetici

    Cellulari sì, ma a piccole dosi e lontani dalla testa

    La notizia non farà piacere agli italiani, amanti del loro inseparabile telefonino, ma sarà difficile non tenerne conto: per la prima volta uno studio controllato ha dimostrato la veridicità delle accuse mosse da più parti ai telefoni cellulari sul loro ruolo nell’insorgenza di alcune forme specifiche di tumore cerebrale.
    Da anni infatti si alternano, in varie sedi, indicazioni di segno opposto ma mai conclusive, perché ricavate da studi effettuati a posteriori o da metanalisi, o perché viziate dalla mancata considerazione dell’influenza di altre potenziali fonti di microonde e campi elettromagnetici.
    Emissione di microonde in un telefono cellulare dotato (a destra) o meno (a sinistra) di una custodia che assorbe le radiazioni.

    Lennart Hardell, del Dipartimento di oncologia dell’Orebro Medical Center dell’omonima cittadina svedese, ha raccolto i dati sull’uso dell’apparecchio mobile riguardanti più di 200 soggetti con tumori cerebrali e più di 400 volontari sani. Una volta effettuate tutte le correzioni del caso, la conclusione è stata chiara: se da un parte si conferma l’aumento di rischio di sviluppare un tumore cerebrale per chi, per vari motivi, è sottoposto a radiazioni ionizzanti (per esempio persone che lavorano nei reparti di radiologia, nelle industrie chimiche o nei laboratori di ricerca), dall’altro emerge la responsabilità dei telefonini nel favorire l’insorgenza di una neoplasia proprio nell’area più vicina al punto di contatto con il telefono, cioè i lobi occipitali, temporali e temporoparietali, che persiste anche tra chi ha un’occupazione a rischio.

    I ricercatori svedesi ricordano comunque che la maggior parte dei malati aveva usato telefoni di prima generazione, che emettevano una quantità di microonde da due a tre volte superiore rispetto a quelli usati attualmente. "Per questo" sottolinea Hardell "abbiamo intrapreso un altro studio di dimensioni più ampie, che coinvolgerà 1.500 malati e altrettanti volontari sani e che si concluderà tra un anno". Nel frattempo si può comunque prendere qualche precauzione, come ricorda l’oncologo svedese: "Bisogna usare di più l’auricolare e, se si usa il telefono in macchina, farsi installare un’antenna fissa esterna. Altrimenti si rischia di essere esposti a dosi ancora più alte di microonde. Infine bisogna fare attenzione ai ragazzi: non si ancora con precisione che effetto esse possono avere su un organismo in accrescimento".

    In proposito la Gran Bretagna ha anticipato tutti: il Ministero della sanità ha infatti chiesto a una commisione di esperti scozzesi dell’Università di Dundee, riuniti nell’Independent Expert Group on Mobile Phones, di pronunciarsi in proposito. Il richiamo non si è fatto attendere: "Non ci sono conclusioni definitive, ma è opportuno che, negli adolescenti, l’utilizzo dei telefoni cellulari sia limiato allo stretto indispensabile e sia scoraggiato in tutti gli altri casi". La relazione si può trovare all’indirizzo internet www.iegmp.org.uk.

    Fonte: Medscape General Medicine 2000, numero del 4 maggio


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